CULTURA &TEMPO LIBERO

 
 
 
 
HOME DEL DOSSIER

IL GIORNO CHE AVREI VOLUTO VIVERE

16 giugno 1933 / Un cronista al seguito di Roosevelt

di Enrico Mentana

Pagina: 1 2 di 2 pagina successiva
commenti - |  Condividi su: Facebook Twitter|vota su OKNOtizie|Stampa l'articoloInvia l'articolo|DiminuisciIngrandisci
26 agosto 2009

Del Novecento, il secolo delle guerre mondiali e delle dittature, delle ideologie e del progresso, quando si parla delle grandi democrazie si ricordano quasi sempre solo le decisioni militari o strategiche che permisero di schiacciare il nazifascismo o piegare alla distanza la sfida sovietica. Ma la democrazia rappresentativa vive e si esalta innanzitutto nelle scelte che fanno il bene delle nazioni, nelle sedi proprie dei parlamenti. E il 16 giugno del 1933 si concluse, con l'ultima seduta, la più straordinaria cavalcata riformatrice della storia americana, e forse mondiale: la sessione speciale del Congresso che tramutò in leggi i provvedimenti ispirati dal neoeletto presidente Roosevelt. Insomma, i Cento giorni che risollevarono l'America. Quindici messaggi presidenziali, 15 provvedimenti varati, 15 leggi firmate dalla Casa Bianca.

Raccontare agli ascoltatori o ai lettori di allora quella fase iniziale ruggente del New Deal, riferire quella giornata straordinaria sarebbe stata un'esperienza impagabile, anche per me che non ho mai fatto in Italia il cronista parlamentare (e del resto, quanti anni di leggi nostrane presentabili ci vogliono per confrontarci con quei Cento giorni?). Che esperienza vivere e raccontare quella determinazione, quella tensione, quel clima. Era la speranza che si concretizzava nel pieno della notte. Dopo tre anni di Depressione, gli Stati Uniti erano in ginocchio. La sfiducia si era impadronita del paese. C'erano 13 milioni di disoccupati, e l'intero sistema vacillava paurosamente. Un presidente reputato come Hoover aveva fallito nel prevenire, contrastare e limitare la crisi economica e i suoi effetti sociali. Ora a Franklin Delano Roosevelt l'America chiedeva il miracolo.

E un miracolo ci voleva, visto che ancora il 4 marzo 1933, giorno del passaggio delle consegne tra i due presidenti – proprio quello della storica frase «L'unica cosa di cui dobbiamo aver paura è la paura stessa» - Wall Street e la Borsa di Chicago avevano sospeso le contrattazioni, e non certo per un omaggio istituzionale. Le banche di 32 stati erano chiuse per ordine dei governatori, e in tutte le altre i correntisti potevano ritirare al massimo il 5% dei loro depositi. Il panico tra i risparmiatori – che aveva reso necessarie queste misure – non era certo irrazionale: giorno dopo giorno l'America apprendeva dai giornali e dalla radio delle ammissioni di corruzione, elusione delle tasse, illeciti e favoritismi da parte dei signori del sistema bancario convocati dalla Commissione del Senato nata per indagare le cause del crollo del '29.

A guidarla fino alle sue clamorose conclusioni fu un sostituto procuratore della Contea di New York, nato in Italia ed emigrato con i genitori in America, Ferdinando Pecora. Di questo siciliano di Nicosia non conserviamo alcun ricordo, strade o lapidi o borse di studio, insomma quel che ormai non si nega a nessuno: eppure di fatto fu lui a scoperchiare il verminaio e le mille magagne delle grandi banche Usa. Agli atti parlamentari, e nella storia americana, la Commissione resta conosciuta col suo nome, Commissione Pecora, nonostante lui ne fosse stato solo il quarto direttore esecutivo, sotto la guida di un senatore che la presiedeva. Ne era l'anima e il motore. Le audizioni erano state sospese per un mese, a cavallo della nuova legislatura.

Pausa benedetta da Roosevelt, che già il 5 marzo aveva invocato i poteri del Trading with the Enemy Act, così da bloccare tutte le transazioni in oro e ordinare la chiusura di tutte le banche per quattro giorni. Contemporaneamente, Roosevelt aveva convocato il Congresso in sessione speciale a partire dal 9 marzo: e così nel primo dei Cento giorni l'Emergency Banking Act fu approvato a tambur battente: tutte le banche solide poterono riaprire sotto la supervisione del Tesoro, e con la garanzia di prestiti federali. Di suo il nuovo presidente ci mise il marchio di garanzia, col primo dei celebri "discorsi del caminetto" radiofonici: «È più sicuro tenere i vostri soldi in una banca che ha riaperto piuttosto che sotto il materasso».

I Cento giorni erano cominciati così, e finirono – nel "mio" giorno, l'ultimo della sessione speciale - con il varo del provvedimento che rivoluzionava il mondo del credito e che avrebbe stabilizzato il sistema bancario per 66 anni, il Glass-Steagall Act. La legge che separava le banche commerciali da quelle d'investimento doveva seppellire la rapacità onnivora della House of Morgan (che venne poi per questo smembrata in J.P. Morgan e Morgan Stanley) e degli altri grandi istituti di New York che secondo l'opinione corrente degli americani avevano bruciato i loro risparmi, determinato il crollo della Borsa, continuato a fare affari lucrando sulle sventure nazionali ed evaso impunemente le tasse grazie alla compiacenza di legislatori corrotti. Fu davvero così: e devono averci pensato molto ai nostri giorni Obama e i suoi, di fronte alla catastrofe bancaria causata anche e soprattutto dalla cancellazione del Glass Steagall Act nel 1999.

  CONTINUA ...»

26 agosto 2009
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Pagina: 1 2 di 2 pagina successiva
RISULTATI
0
0 VOTI
Stampa l'articoloInvia l'articolo | DiminuisciIngrandisci Condividi su: Facebook FacebookTwitter Twitter|Vota su OkNotizie OKNOtizie|Altri YahooLinkedInWikio

L'informazione del Sole 24 Ore sul tuo cellulare
Abbonati a
Inserisci qui il tuo numero
   
L'informazione del Sole 24 Ore nella tua e-mail
Inscriviti alla NEWSLETTER
Effettua il login o avvia la registrazione.
 
 
 
 
 
 
Cerca quotazione - Tempo Reale  
- Listino personale
- Portfolio
- Euribor
 
 
 
Oggi + Inviati + Visti + Votati
 

-Annunci-